Puglia – Prosecco solo andata (e con scalo ad Amsterdam)

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A dire la verità, questa è innanzitutto una storia di tempi sbagliati. Di ritardi, di anticipi, di incontri per caso, di altri previsti, ma posticipati di quel minimo da concedere, appunto, la casualità dei primi. E poi è una storia di strada e di strade, di tragitti percorsi a singhiozzo, di viaggi e delle loro inevitabili pause. Una storia che mi vede coinvolto, ma nel più classico ruolo di spalla.

Domenica mattina. Devo prendere un autobus, o meglio la corriera, come si è più soliti dire a Trieste (soprattutto a una certa età): la corriera numero 44. La 44 non è una corriera normale: parte da Piazza Oberdan, che è cuore e polmoni del trasporto pubblico triestino, e con un respiro più profondo si fa scaraventare ben oltre i limiti della circolazione comunale. Sì, perché la 44 è uno di quegli autobus che se ne vanno lontani, che escono, è la corriera che ti porta fuori porta. Ti porta al mare, a Sistiana, un piccolo diamante incastonato tra i confini della provincia e le rocce carsiche, un abbraccio aperto di costa, dove si gode di un mare bellissimo e dell’inquietudine, squisitamente locale, di guardare da lontano la città e di essere colti quasi da un miraggio. Insomma, la 44 va lontano, è in tutti i sensi un bus fuori dal comune ed è dunque, nel pieno rispetto del suo ruolo, meno frequente. La domenica poi… Arrivo quindi in piazza Oberdan già in preda a una delle mie più ataviche angosce, ossia quella di aver bucato in pieno l’orario di partenza. Fortunatamente, dopo ulteriori e svariati controlli degli orari in loco, mi rendo conto di averci azzeccato. Salgo sull’autobus, mi siedo ma è quasi come un distendermi. La 44 parte. Puntualissima. Di quella puntualità che ti fa quasi pensare di essere ancora al minuto prima. La strada è sgombra, il bus quasi. La 44 sale snella e con disinvoltura per Strada del Friuli, una via dai tornanti stretti e dagli scorci sul golfo che chiamano lacrime e silenzio o, nei casi più fortunati, infiniti baci alla francese. Si sale, sempre di più, fino ad arrivare a Contovello, un piccolo borgo che ne anticipa un altro, un po’ più grande, che si chiama Prosecco. E qui io mi fermo. Scendo dal bus. Ci sono stato un’infinità di volte a Sistiana, ma stavolta no. Devo fermarmi qui. Scendo nella piazzetta di Prosecco, devo aspettare Marco, dobbiamo andare ancora più lontano: a Lignano. Fuori Trieste, fuori dalla provincia: non ci arriva neanche la 44, per dire. Marco è un amico, un grande amico, con il quale condivido molte cose, tra le quali un inguaribile senso per il ritardo. E infatti, anche stavolta Marco è in ritardo. E allora, appoggiato su un tipico muretto in pietra del Carso, aspetto. Inizio a pensare ai fatti miei, guardo distratto il cellulare, mi guardo attorno e, come spesso faccio soprattutto nei luoghi dove non capito di frequente, provo a ricordarmi distintamente le situazioni passate nelle quali mi sono ritrovato in quel posto. Mi cimento in questo inutile gioco mentale, mi ci perdo dentro, lo faccio con trasporto. E lo continuerei anche a fare, se non venissi risvegliato da qualcosa. Una perturbazione, una voce inaspettata, una domanda dall’accento strano: “Mi scusi, ma stai aspettando la 44?”. Mi giro di più o meno 30 gradi a sinistra e vedo avvicinarsi una figura umana dal movimento non del tutto fluido ma, al contempo, bonariamente deciso. Si tratta di un uomo di una certa età, sarà sui 70 ma non ci metto la mano sul fuoco. Non troppi capelli grigi, linee rotonde, aspetto paffutello, un (bel) po’ trasandato, una pancia generosa a coprire la cintura, un viso glabro, paonazzo sulle scale di rosso, con occhi sottili, stretti in due fessure a uova schiacciate, tra le sopracciglia e gli zigomi particolarmente pronunciati. Rispondo: “No, ci sono appena sceso, è appena passata la 44”. A questa risposta l’uomo allarga le braccia quel tanto da intuire una polemica rassegnazione: “Eh ma non è possibile, ora scrivo a polizia locale sai, non è possibile qui dai sempre così, scrivo a polizia locale e vediamo dopo!”. Evinco si sia inviperito per l’imperdonabile anticipo con cui il bus è transitato per Prosecco. Per togliermi ogni dubbio, faccio leva su quella strana ed esattissima puntualità della partenza e la gioco sporca: “Ma sì guardi, l’orario di partenza era alle 10.05 ma mi sa che è partito alle 10.03-10.04”. “Eh ma no, anche stavolta così!”, risponde lui. Sì, si tratta dell’anticipo. Seguono due minuti circa di polemica, reiterata, sull’inadempienza di servizio degli autisti triestini nel rispettare gli orari. In verità, è una bella cozzaglia di banalità, della quale però mi ritrovo interessato: non tanto per quello che viene detto, ma per come. Quell’italiano sbilenco, ma soprattutto quell’accento strano, quello di prima…sembra carsolino, ma non è. Sembra l’accento di qualcuno che viene da molto lontano, e che da molto tempo è stato trapiantato lì. Insomma, per proprietà di linguaggio, parlata apolide e aspetto fisico tendente all’opulenza, l’uomo mi ricorda tremendamente Mino Raiola, il procuratore calcistico più potente del globo nonché la più autentica nemesi del romanticismo sportivo. Mino Raiola invecchiato, in villeggiatura a Prosecco: strana storia. Ma va bene, fa niente, ci arriviamo tra poco comunque. Il nostro amico, che quindi per comodità chiamerò Mino Raiola, continua la sua predica di assolute banalità fino a un momento, in cui di colpo si ferma, tagliando di netto un discorso già ben avviato. Mi guarda. E dal nulla, mi sorprende. Apre un sorriso con le sue gonfie labbra purpuree e spalanca gioioso quegli occhi, che io fino a un secondo prima pensavo fossero timide fessure del volto. “Ma tu dove vai oggi di bello?”. “Lignano”, rispondo io, ancora sorpreso. La gioia di Mino Raiola cresce, il suo sorriso sembra volersi mangiare il mondo intero: “Che bello! E ci vai con gli amici? Ma che bello!”. Mi parla di Lignano con l’entusiasmo di un bambino degli anni ’90 di fronte al suo primo giocattolo dei Cavalieri dello Zodiaco. E nel suo discorso mi segnala un ristorante, di cui non dirò il nome, in cui “per 40 euro in tutto si mangia piatto di pesce enorme per 5 persone. Altro che Croazia, dove spendo sempre 450-500 euro!”. (Quella parlata…quell’accento…). Peccato che quel ristorante di Lignano sia noto soprattutto per i responsi poco sexy dei NAS. Ma preferisco non dirglielo. “Grazie del suggerimento, ne terrò conto”, rispondo. Mino Raiola a quel punto, dopo l’ultimo sorriso d’intesa sul ristorante, sposta il suo sguardo, guarda altrove con un’ombra di malinconia: “Eh, il mare di Lignano è bello…ma in Puglia è tutta un’altra cosa. Lo so, io vengo da lì!”. Eccolo: svelato il mistero! Mino Raiola è un pugliese trapiantato sull’altopiano del Carso. È un improbabile, quanto inimmaginabile, pugliese carsolino. Dopo avermi decantato le lodi di Puglia, torna a testuggine sull’argomento gastronomico. “Eh, caro mio, io mangio sano sai? Eh, perché sennò il diabete, il colesterolo, sai caro mio. Quelli lì non perdonano”. Continua a random a parlarmi della sua dieta, della sua attenzione maniacale. Io mi distraggo un attimo, perché la cosa non è che poi, a dirla tutta, mi interessa assai. “Ma tu quanto hai? 90? 100? 110?”, mi chiede. Ah cazzo, colto in fragrante. Che mi starà chiedendo? La pressione? I valori glicemici? Il colesterolo? Merda. Mi tengo sulle difensive: “Guardi, sarò sincero con lei: non lo so”. A questo punto Mino Raiola si fa padre misericordioso: “Eh, ma devi controllare sempre sai? Anche se sei così giovane!”. Ride di gusto per un secondo. Io comunque mi sono salvato. Ma la tempesta non è passata, anzi. “Non hai panini in borsa per pranzo vero? Salumi fanno male! Prosciutto, mortadella, eeeh caro mio!”. “No…si figuri, non ho panini”, rispondo sorridendo. Invece sì: uno enorme, al cotto. Squisito, scoprirò poi. È preso bene. Insiste, è un fiume in piena di curiosità, espressa con quel suo italiano meno di sintassi e più di concetto (e quell’accento…). “E al mare, a Barcola, quando hai sete con caldo cosa bevi?”. Cosa bevo? In un secondo e senza volerlo, la mia mente si catapulta nella più classica situazione estiva che mi ritrae al baracchino della Pineta. Quell’unica, semplice, onesta, pulita ordinazione: “Una caraffa di spritz pompelmo, grazie”. Sono alle corde. Esito, prendo un respiro profondo, sono sull’orlo del precipizio, mi butto: “Acqua minerale”. “Bravissimo! L’acqua fa bene. Bravo che sei!”. Ci è cascato. Buscio di culo. Sono salvo di nuovo.

“Io non bevo e non fumo!”. “Neanch’io”, sto per rispondergli io, poi mi trattengo, lasciamo stare, un giocatore sa quando smettere di rischiare. Ma Mino Raiola sembra nascondere qualcosa, la sua pausa dopo questa lapidaria dichiarazione di ligio salutismo preannuncia un segreto. “Eh, ma io un vizio ce l’ho”. Ci siamo. “Eh sai, le donne…”. Sorrido, per trovare quell’intesa maschile che ci potrebbe poi far dire frasi come: “Quanti problemi ci danno, ma quanto son belle!”, o sciocchezze del genere. Insomma, quell’ultimo briciolo di innocenza che mi è rimasto dopo quasi 32 anni di esistenza me lo fa immaginare fare il brillante in un’osteria di Prosecco, muovendo avances volutamente comiche alle signore di una certa età del borgo, e generando un’ilarità che rallegra l’ambiente tutto. “Eh le donne, le donne, quanto tempo perso appresso a loro…”. Non ci faccio caso, chi non ne ha perso in fondo. Un’altra pausa. Sta prendendo coraggio per dirmi qualcosa, lo vedo. Inizio a intravedere qualcosa di più complesso. Di più oscuro, forse il suo vero segreto: è una di quelle strane situazioni nelle quali una storia si sta schiarendo e, al contempo, tutto si sta facendo tremendamente buio.

“Le donne sono proprio un vizio per me” (Oddio. Cosa vuole dirmi adesso?)“Sai…io vado spesso ad Amsterdam…”. (Oh mio Dio, no!)
“Ci sono andato tante volte sai…” (Dai, magari ha parenti lì, che ne so)
“Eh le donne lì…” (Credo di vedere la luce: è il buio)
“Le donne lì mi fanno impazzire” (Ora sento le tenebre)
“Eh…una notte a Amsterdam…speso 1000 euro e sono andato con 5 donne!” (Bingo)

Non so che dirgli. Rido un po’ con lui, non so che altro fare, tanto ormai…continua, io sono sfinito, mi chiedo sempre più insistentemente dove sia Marco. Mi poi parla di soldi: “Mio figlio solo 300 euro al mese, mia moglie in Puglia 3000 euro per lavorare in ospedale”. “Ma i tuoi weekend lunghi ad Amsterdam come glieli giustifichi?”, penso io (ma lo penso e basta). E poi? E poi mi accorgo che il nostro incontro sta giungendo alla fine. Perché come molti racconti, il fondo comincia dall’inizio. “Che vergogna questi autobus! In Slovenia c’è molta più legge. Ti sgarri con gli orari? Galera! Quella è legalità. O come in Iran! Scrivi sui muri come vandalo? Pena di morte!”. Ora, alzi la mano chi a 14 anni imbrattava i muri con una discreta regolarità…appunto, eccomi qua. Il mio collo sente una sensazione di corda stretta, e la visione della Fiat Bravo di Marco mi dà un sollievo impagabile. Mino Raiola sta finendo di dirmi delle cose che non ricordo, ma lo interrompo: “Il mio amico è arrivato, devo andare a Lignano! Le auguro una buona domenica!”. E Mino Raiola? A questa informazione inizia, di gusto, a ridere, come se gli avessi appena detto la cosa più divertente del mondo. Ride, ride fragorosamente, ride con beatitudine, con una serenità che probabilmente non ho mai visto prima. “Buon viaggio! Buon viaggio!”. E ride, ride ancora. Salgo in macchina. Marco vede la scena e scoppia a ridere. E io? Io faccio l’unica cosa che posso fare: rido. Chiudo la porta, la Fiat Bravo parte, guardo dallo specchietto retrovisore e vedo allontanarsi sempre di più una figura, che con un’imprevedibile quanto rumorosa risata mi saluta a mano aperta, una superficie umana rotonda e generosa, che piano piano, metro dopo metro, si fa più piccola, trasformandosi, inevitabilmente, in un ricordo. Un po’, in fondo, come tutta questa strana storia di casualità, tempi, silenzi, confessioni inconfessabili e qualche bugia.

Per concludere vorrei citare uno scrittore straordinario, Philip Roth, che una volta ha scritto che “la nostra comprensione della gente dev’essere sempre, per forza, nei migliori dei casi, difettosa”. Io, infatti, di questo incontro non ci ho capito pressoché nulla. Mino Raiola, un po’ come il Mino Raiola vero, rimane un personaggio enigmatico, sconclusionato, in fondo del tutto sconosciuto. L’unica cosa che credo di aver capito è che è un essere umano nella sua concezione più autentica, con le sue gioie, le sue tristezze, le sue oneste virtù e i suoi altrettanto onesti luoghi oscuri. Ma credo solo di averlo capito, di sicurezza in queste cose non ve n’è mai. So però che se dovrò andare in Slovenia non verrò deluso dalla serietà dei trasporti pubblici, so che devo diminuire i panini al salame, le birre e le sigarette, so di essere fortunatissimo a non essere nato a Teheran e so che ad Amsterdam, se ti impegni davvero, puoi spendere 1000 euro a sera in mignotte. E so anche che in Carso, da qualche parte in questo momento, c’è un pugliese un po’ malinconico che a volte si ferma e guarda il vuoto, che non ha paura di niente, che sa ridere meglio di chiunque altro e che per qualcuno è già un ricordo che come ogni ricordo invecchierà, ma che forse non morirà mai.

Pierpaolo de Flego

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